Per coloro che volessero leggere la storia dall'inizio di seguito le puntate precedenti
- Testamento
- Giulia. La scatola azzurra. Parte 1.
- Giulia. La scatola azzurra. Parte 2.
- Giorgio. La scatola Grigia.
- Fabio. La scatola gialla.
- Lisa. La scatola rossa.
- Stefano. La scatola viola
- Paola. La scatola mancante
- Federico. La scatola bianca.
- Riccardo. La scatola indaco
- Vita rubina. La preparazione delle scatole
Natalia. La scatola Arcobaleno (prima parte)
Non
erano mai riusciti ad incontrarsi.
Anche
se avevano spesso parlato di una birra che li avrebbe visti a raccontarsi,
finalmente, guardandosi negli occhi.
Ma
forse chi aveva vissuto storie fatte di emozioni simili in maniera
assolutamente parallela era davvero destinato a non incontrarsi mai se non
guardandosi dai finestrini di due treni in corsa.
Natalia
seppe per pura casualità della sua morte.
Era
sin troppo abituata a sentirlo di rado e non c’era tra loro un rapporto in cui
qualcuno si prendeva la briga di controllare la clessidra del tempo.
Era
così.
Naturale
e del tutto aleatorio.
Ma
intenso.
Vero.
Svuotato
dai mali del tempo.
Nessuna
possessività insomma.
Natalia
seppe perché un giorno lo lesse in una mail.
“Il
giorno X il signor X è venuto a mancare. La invitiamo a presentarsi il giorno X
all’ora X presso lo studio notarile X sito in Roma in via X in quanto il signor
X ha disposto, tra gli altri, in suo favore. Per qualsiasi informazione può
contattare la signora X al seguente numero di telefono X. Cordialmente, il
notaio X”.
Una
mail cruda.
Secca.
Senza
alcuna emozione.
Diversa
da com’era lui che infilava anche nelle cose più banali un motivo per stare
bene o per stare male.
Più
la seconda che la prima, ma tant’è.
Accese
il computer.
Cercò il suo blog.
Lesse
tutti i post fino all’ultimo che ricordava di aver letto.
Non
trovò nulla di particolarmente allusivo.
Cercò
su facebook.
Solo
una marea di R.I.P. e di “che ti sia lieve”.
Nessun
riferimento a come quando e perché.
Viveva
a 650 km
da Roma.
Sentiva
fortemente che sarebbe dovuta andare.
Aveva
bisogno di andare.
Voleva.
Doveva
capire.
Sapere.
Conoscere.
E
non per mera e pura curiosità.
A
lui aveva affidato pezzetti della sua vita.
Gli
aveva raccontato fatti, circostanze e sensazioni.
E
se ora, dopo essere andato altrove, la stava chiamando non c’era alcun motivo
che potesse farla desistere.
Si
trattava solo di mollare ogni cosa.
Magari
inventando una scusa più forte della stramba realtà alla quale nessuno avrebbe
mai creduto senza fare millemila domande.
E
quel senso di dolore di sottofondo non presupponeva l’esistenza di domande che
non l’avrebbero in qualche modo innervosita.
Era
cosa sua e sua soltanto e così sarebbe rimasta.
L’alta
velocità le avrebbe consentito di fare tutto in giornata.
Il
resto era storia da vivere.
E questo se da un lato le faceva paura dall’altro la eccitava.
Era
riuscita a lasciare qualcosa di non mediocre nel cuore di una persona.
-
- -
Entrare
a Roma col treno non fa un bell’effetto.
Il
passaggio del serpentone in mezzo ai quartieri periferici dà un senso di cupa tristezza.
I
panni stesi sembrano prendere grigio ogni istante.
E
poi il traffico.
La
gente che sembra stanca e svogliata.
No.
“Non
mi piace”
Natalia
decise di chiudere gli occhi fino al momento in cui il treno si sarebbe
fermato.
Alzò
il volume del suo lettore mp3, spostò il sedere in avanti e si stravaccò.
Nessun
pensiero.
Se
non ogni tanto quel sogno che lui le aveva promesso di aiutarla a realizzare ma
che, porca troia, era stato impossibile.
Finalmente
il treno si arrestò in perfetto orario.
Avrebbe
avuto il tempo per girare un paio d’ore, ma aveva voglia di starsene chiusa tra
sé e sé.
Non
uscì neanche dalla stazione Termini, passò davanti all’enorme libreria a pochi
metri dall’uscita, si voltò, vide in alto dei tavolini di un bar sospeso sul
tetto e decise di raggiungerne uno e fermarsi là, in attesa che fosse il tempo
a portarla a quell’appuntamento.
Prese
un te, aprì un libro e fece finta di leggere.
Era
uno strano dormiveglia il suo.
Ricordi.
Assenze.
Immagini.
Colori.
Il
pensiero di lui.
Il
pensiero di una persona che sentiva vicinissima a tratti.
Il
pensiero di una persona della quale non conosceva il modo di muovere la bocca,
gli occhi, le mani.
Il
pensiero che era diventata una pazza a stare là, in quel momento, sulla base di
una mail, magari falsa.
Uno
scherzo insomma.
E
pensare che non si era neanche degnata di chiamare quel numero di telefono
della signora X per capire meglio.
“Una
pazza completa. Ecco cosa sono!”
-
- -
Il
giorno in cui stava preparando la sua scatola ripensò a quella cosa che trovò
scritta di lei.
Se
ne appuntò un pezzetto su un fogliaccio.
Lo
sentiva così vicino a se quel pensiero che lo teneva in saccoccia per
srotolarlo ogni volta che si sentiva solo.
Fu
quello il motivo per il quale non ebbe alcun dubbio nel confezionare la sua
scatola dei tanti colori che formano un arcobaleno.
Quelle
parole facevano esattamente così:
“L’arcobaleno
non esiste ragazzi.
Vero?
Ditemi
la verità.
E’
un’illusione ottica.
E’
lo specchio delle pozzanghere.
E’
la pioggia che si riflette sui binari dei tram.
E’
il punto in cui si bacia la goccia con il fango.
L’arcobaleno
è come l’amore. Non si spiega se non in sé stesso.
Esiste
solo nei cuori di chi lo vive,diciamo, come negli occhi di chi lo guarda.
Per
cui non è ancora il mio momento”
“Quando ci sveglieremo?
Un giorno la pioggia
laverà via il nostro
dolore”
(fine prima parte)
Per aria Raimbow - Elisa
....è vero l'arcobaleno non esiste. non lo puoi toccare, forse è un inganno. Come sempre quello che esiste è il senso che gli dai, la ragione di esistere...
RispondiEliminaTutto ciò che non si può toccare è unico e prezioso. Non avendo materialità non gli si può dare un prezzo e quindi non ha valore commerciabile. Esattamente come i sogni.
RispondiEliminaAspetto la seconda parte :)
Una volta mi spedisci in un futuro che spero di dover vivere tra "millemila" anni. Questa volta mi hai spedita indietro nel tempo di dieci anni più o meno. Che strano specchio riflesso che sei Tandoori :))
RispondiElimina