“E anche quando poi saremo stanchi
troveremo il modo per
navigare nel buio
che tanto è facile
abbandonarsi alle onde
che si infrangono su di noi”
Sapeva
che sarebbe tornato quel buco profondissimo nello stomaco.
Come
ogni anno in fondo.
Quindi
nessuno stupore, nessuna barriera per impedirlo, nessuno slancio per fare in
modo di cambiare le cose.
Avrebbe
dato qualsiasi cosa per tornare indietro al momento in cui quell’ingranaggio perfettissimo
aveva cominciato a deteriorarsi, per impedire quel passo falso, per vedere se
il destino avrebbe portato allo stesso risultato o se davvero quella avventata
scelta fosse stata l’unica causa della distruzione.
Una
macchina del tempo sarebbe bastata.
Sarebbe
bastato puntare sul 28 febbraio 2014, prendere sé stesso per un orecchio e
portarlo via da qual maledetto ristorante con una scusa qualsiasi.
Da
solo.
Aspettare
che si addormentasse, allontanarlo per una notte soltanto da ogni cosa e
tornare a oggi.
Tutto
uguale?
Qualcosa
di diverso?
Meglio?
Peggio?
Cosa
sarebbe potuto cambiare nello scorrere della sua vita che da quel momento aveva
cominciato a sgretolarsi?
-
- -
Prese
il cellulare.
Prima
di partire per quel viaggio a ritroso quell’aggeggio non conteneva più numeri,
messaggi, mail di un bel po’ di gente.
Aveva
un senso di ansia.
Non
sapeva perché e neanche andava a cercarlo.
Tanto
ci conviveva con quell’ansia.
“Vediamo…”
Rubrica.
Batticuore.
Mani
che tremano.
Cerca.
“Aiuto!”
Si
accorse solo in quel momento che il telefono che aveva tra le mani era di
un’altra marca rispetto a quello che aveva pochi istanti prima.
Lo
gettò sul letto prima ancora che il comando “cerca” facesse il suo dovere.
Cosa
era successo?
Andò
a cercare uno specchio.
Ci
si mise davanti.
Si
toccò il viso.
Cominciò
a ridere, di una risata isterica.
La
faccia era sempre quella, stessa barba folta, stesse rughe, stessi capelli scompigliati
grigio topo.
Era
tutto intorno a essere completamente diverso.
“Dove
cazzo sono?”
La
sua casa si era ristretta.
Era
diventata sporca e disordinata, quella di un uomo solo, abbandonato se stesso, che
non riceveva visite da tempo.
Corse
alla finestra.
Là
fuori non c’era Roma.
Era
tutto di un grigio fumoso e triste.
“Dove
cazzo sono finito?”
-
- -
Si
svegliò di soprassalto.
Il
telefono non aveva squillato.
Nessun
messaggio ricevuto.
Rubrica
vuota.
Un
vecchio cellulare completamente resettato.
“Dov’è
il mio I-phone? Cazzo!”
Iniziò
a pensare di essere impazzito.
Nessun
ricordo della vita che aveva modificato, soltanto di quella che stava facendo
prima del “viaggio”.
O
meglio ricordava solo quel tipo strano che una sera, mentre cenava con alcune
persone, lo aveva costretto a seguirlo per evitare che gli menassero.
Più
o meno così disse.
Ma
forse lo aveva solo sognato.
Voleva
solo dormire, ancora, nella speranza di risvegliarsi da quell’incubo.
-
- -
Il
giorno dopo ricevette una telefonata.
Era
arrabbiata, preoccupata.
“Come
stai? Cosa è successo?”
“Una
cosa strana davvero. Quel tizio sembrava mi leggesse dentro. Era impossibile
non stare alle sue regole. Mi ha portato alla mia macchina, mi ha detto di
mettere in moto e di andare verso casa. Casa mia. Stava in silenzio, un
silenzio sprettrale. Anche io non sono riuscito a parlare fino a che un
semaforo della Colombo mi ha costretto a frenare. Gli ho chiesto chi fosse,
cosa volesse. Lui muto. O meglio, mi ha risposto che avrebbe parlato solo
quando saremmo stati a casa mia”.
“E…”
“Una
volta a casa mi ha detto che sarei dovuto andare a dormire, che avrei dovuto
spegnere il cellulare, che avrei dovuto sospendere tutti i rapporti col mondo, con
le paure, con le persone che amo, ma soprattutto che non dovevo pensare a quello
che stavo per fare quando ero al ristorante. Però questa ultima cosa non l’ho
capita”.
“E
tu?”
“Io
ho fatto esattamente quello che ha detto e ora sono qui. Turbato e confuso. E
soprattutto non so chi voleva menarmi, ma a quanto pare l’ho scampata. Me l’ha
garantito”.
“Che
cosa buffa…”
“Tu?”
“Meglio.
Pare si sia un po’ calmato…”
“Ci
vediamo?”
“Si!”
-
- -
Riaprì
gli occhi lentamente.
Era
convinto che fosse stato soltanto un incubo.
Ma
così non era.
Puzza.
Casa
piccola e trasandata.
Nessun
rumore.
Luce
smorta.
“Sono
morto?”
Lo
sperava davvero.
Chissà
come aveva vissuto in quegli anni modificati?
Chissà
a che punto qualcuno aveva messo il nuovo punto distruttivo.
“Ti
prego chiamami…” sussurrò come una preghiera senza voce.
Si
riaddormentò per manifesta incapacità di muovere sperando in un miracolo.
Sperando
che quella mano a lui tanto cara tornasse a guarirlo con una carezza.
“Dimmi come stai
perché non parli
ora tienimi con te
la tua mano nel buio
guarisce la mia solitudine”
Per aria Poetica – Cesare Cremonini